Luci, schermi, traffico, telefoni e rumori: quanto siamo stressati in realtà dalla vita di città?
Riceviamo ogni giorno impulsi visivi, uditivi e olfattivi che, seppur indirettamente, agevolano l’insorgere di agitazione, stanchezza e nervosismo.
Yoshifumi Miyazaki, docente di architettura del paesaggio all’università di Chiba in Giappone, ha portato avanti uno studio ed una ricerca basati sull’attività chiamata shinrin-yoku o forest-bathing, bagno nella foresta, termine coniato nel 1982. Questa consiste nell’immergersi in una zona naturalistica per sincronizzarsi e armonizzarsi con l’ambiente circostante.
Da quando siamo umani, infatti, “abbiamo vissuto più del 99,9% del nostro tempo a contatto con la natura”, sostiene Miyazaki, poiché i nostri geni sono “naturalmente costruiti” per essere adatti a vivere nella realtà stessa che li ha creati.
Effettivamente vivere immersi nella natura e nei boschi influisce positivamente e drasticamente su alcune malattie. Una ricerca olandese ha dimostrato, con uno studio eseguito su 350.000 persone, che vivere a meno di 1 km da un’area verde favorisce il miglioramento di malattie cardiovascolari, respiratorie, emicrania, disordini dell’apparato digestivo, malattie ossee e muscolari, ma soprattutto – ed è qui il nocciolo più interessante della questione – di disturbi quali depressione, attacchi di panico e stress. Non a caso, infatti, si riscontra un incremento sempre maggiore di malattie psicologiche, specie tra i più giovani, che sono le prime vittime del “technostress”. Costantemente stimolate da impulsi veloci e fugaci, le giovani menti non elaborano a pieno una coscienza di sé e del proprio ambiente perché avviluppate con mani e piedi in un mondo proiettato esclusivamente sulla percezione che si ha dell’altro, preoccupandosi più del punto di vista esterno e costruendo la propria immagine sul modello canonizzato sui social.
I passatempi infatti sono cambiati tanto velocemente quanto velocemente è cambiata la società: oggi si preferisce ai parchi e alla montagna la sedentarietà dello stare al pc, del giocare ai videogames, del navigare su internet.
Alcuni studi hanno stimato che le persone trascorrono circa il 25% di tempo in meno nella natura rispetto a 20 anni fa (Pergams&Zaradic, 2007), e questo comporta inevitabilmente delle conseguenze gravi sul fisico e sulla mente.
Lo stesso professor Richard Ryan -- docente all’Institute for positive psychology and education alla Australian Catholic University - dimostra con il suo studio l’effetto rivitalizzante della natura, capace di “ricaricare le batterie” con risultati neurologici più soddisfacenti che una tazza di caffè.
Ma non è tutto: essere a contatto con la realtà più incolta e immacolata della natura permette al nostro cervello di elaborare gli stimoli che arrivano dall’esterno con un’inventiva ed una fantasia molto più intensa.
Questo è ciò che emerge da uno studio condotto nel 2012 da tre ricercatori inglesi, Ruth Ann Atchley, David L. Strayer, Paul Atchley, in cui i partecipanti hanno dovuto trascorrere quattro giorni nella natura selvaggia, dovendo occuparsi del cibo, della cura di sé, del proprio riparo e della propria sopravvivenza senza aiuto alcuno. Il dato è sbalorditivo: “questi quattro giorni di totale immersione nella natura e di completa assenza di tecnologia hanno incrementato la creatività e l’abilità di risolvere problemi ben del 50%”,
e aggiungono: “La nostra società moderna è piena di eventi improvvisi (sirene, cellulari che squillano, clacson che strombazzano, televisioni ad alto volume, etc.) che catturano l’attenzione e ci conducono a distrarci facilmente. Al contrario, gli ambienti naturali sono caratterizzati da suoni gentili, morbidi, rilassanti che permettono al sistema attentivo esecutivo di essere pienamente in funzione”.
Anche la capacità mnemonica risente della presenza o meno di ambienti naturali. Marc G. Berman e alcuni suoi colleghi, presso l’Università del Michigan, hanno sottoposto alcuni volontari ad un esercizio che consisteva nel ricordare una sequenza di numeri e conseguentemente li hanno divisi in due gruppi: uno avrebbe camminato in mezzo ad una folla in città, e l’altro invece in un bosco silenzioso. Una volta ritornati, ad entrambi i gruppi è stato chiesto di ripetere l’esercizio: i risultati dimostrano che le abilità mnemoniche di coloro che avevano camminato in mezzo alla natura erano superiori del 20% rispetto agli altri.
Chissà cosa saremmo in grado di pensare, provare, inventare, se riuscissimo a far convivere il rigoglio della natura, la sua carica energica e calda come il grembo di una madre e la nostra necessità di vivere in società sempre più complesse. Saremmo forse più evoluti come specie e come singoli individui?
Il legame con la Terra ed il senso di appartenenza ad essa è di vitale importanza per il cammino evolutivo di ogni specie vivente: l’evoluzione infatti non è altro che lo sforzo di adattamento ad un ambiente che cambia con noi. Se come genere ci dimentichiamo la terra che abbiamo sotto i piedi illudendoci di volare, compromettiamo anche lo sviluppo della nostra stessa comunità: senza suolo infatti non vi possono essere le radici.
Un recente studio del 2013 condotto su un campione di 10 bambini ha documentato che coloro che trascorrono più tempo all’aria aperta sviluppano un maggior senso di appartenenza al mondo e alla terra.
Vivere a contatto con la natura quotidianamente amplifica il senso di apprezzamento per la bellezza: aumenta infatti la curiosità, l’immaginazione e l’interesse per i colori, l’equilibrio, l’armonia.
Inoltre, i bambini che soffrono di disattenzione ed iperattività traggono enormi benefici dal tempo trascorso fuori casa in contesti verdi.
Pare che lo stesso Leonardo Da Vinci avesse vissuto la sua infanzia immerso nella natura della Toscana quattrocentesca, non ricevendo un’educazione ferrea e un’istruzione consueta.
Amava osservare il mondo naturale e questo contesto ha incoraggiato la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare, contribuendo al suo genio.
Il bambino in natura, infatti, è spronato al movimento e all’esplorazione, viene spinto a conoscere meglio se stesso e i limiti del suo corpo, testando movimenti indispensabili per la sua stessa sopravvivenza, come i riflessi istintivi, l’arrampicarsi, la corsa, il nuoto.
Proprio l’acqua, in realtà, è un elemento fondamentale per la ricerca della felicità e della salute, ma di questo parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo.
È interessante notare come durante la quarantena per il virus Covid-19 siano aumentati i casi di stress e ansia sociale, oltre che di depressione: se già l’evento di una pandemia può portare scompensi emotivi non indifferenti, l’obbligo di non uscire dalle proprie abitazioni aumenta la pressione psicologica.
Infatti, vivere in contesti “artificiali”, ossia costruiti dall’uomo, provoca a lungo andare un rallentamento delle connessioni di aree cerebrali. Queste stesse, se normalmente stimolate dalla visione di scenari naturali, lavorano, al contrario, più in sincronia e più velocemente.
Nel mondo in cui viviamo, che ha cambiato totalmente faccia in neanche un secolo, tendiamo a slegare le nostre abitudini dal ritmo naturale, ad allentare la nostra indiscutibile interdipendenza con la natura. Abbiamo una vita notturna ed una città che prende vita al calar del sole, proprio quando i nostri ritmi circadiani richiedono il riposo del fisico; ci svegliamo quando è già mattina inoltrata o, al contrario, molto prima del sorgere del sole; mangiamo frutta e verdura senza rispettare la loro stagionalità.
Abbiamo perso la misura della dilatazione del tempo.
Per le nuove generazioni (tra cui la mia!) è quasi completamente assente la fatica della ricerca, l’arte dell’attesa: basta cercare su internet per avere informazioni senza cercare negli indici delle enciclopedie; basta avere google maps per viaggiare e non più una cartina; basta prendere un aereo per trasferirsi dall’altra parte del mondo, basta avere un profilo instagram per diventare qualcuno.
Jean Jacques Rousseau scriveva della necessità per i bambini di “perdere tempo”, in antitesi con le pedagogie che nel ‘700 puntavano all’efficienza. La necessità di oziare nel suo significato latino, cioè un “dolce far niente”, spesso in ambienti bucolici, è alla base delle più grandi scoperte dell’essere umano e delle più immense poesie (pensiamo alla leggenda di Newton e della mela, all’Infinito di Leopardi).
La natura ci insegna a pensare e a come pensare, ci guida nella crescita e nell’evoluzione fisica e psichica.
È crudele e magnanima, è alle fondamenta del nostro benessere e del nostro nutrimento ed è lo sfondo imponente degli eventi fragili, fuggevoli e instabili dell’essere umano.
È la più oceanica e profonda maestra che possediamo, la miglior cura preventiva per i nostri disturbi e le nostre malattie.
Basta tendere l’orecchio, ascoltarla e chiederci: cosa ci rende davvero felici?