Quando il sole primaverile sorge sulle bianche cime dell’altipiano Putorana e la nebbia mattutina comincia pian piano a diradarsi, questa enorme area montuosa situata nell’estremo nord della Siberia centrale inizia a prendere vita. Ciò che vedreste dalla sommità innevata del monte Kamen’, il re di pietra che domina su tutti i rilievi basaltici dell’altipiano, è un delicato insieme di diversi ecosistemi: dagli incalcolabili ettari di taiga incontaminata, passando per i licheni e i muschi della tundra, fino agli strati permanenti di ghiaccio del deserto artico.
Ora immaginate di essere come una piccola ghiandaia siberiana e di poter osservare questo angolo di mondo dal ramo di un larice. Cosa vedreste? Le valli del Putorana, solcate da numerosi fiumi che alimentano non solo i lunghi specchi d’acqua che qui abbondano come la neve, ma anche le numerosissime cascate il cui fragore rompe il gelido silenzio, insieme agli ululati dei lupi e al vento che solca le gole e risuona in ogni punto del pianoro, come se la Natura facesse sentire la propria voce.
Ma cosa succederebbe se la nostra ghiandaia volasse verso ovest, per poco più di trecento km? Soffocherebbe nell’inferno più inquinante di tutta la Russia: la città di Norilsk. Vista dall’alto, appare come un insediamento industriale isolato, composto perlopiù da palazzi in stile classico socialista che rende questi edifici delle abitazioni rigide con centinaia di finestre e dai colori spenti. La Natura è praticamente inesistente per le vie della città. I tralicci e le ciminiere sempre fumanti delle fabbriche si sono sostituiti alle foreste di larici e betulle. Per la ghiandaia sarebbe impossibile trovare un sostegno che non sia artificiale; l’unico modo che ha per vedere delle piante vive a Norilsk, è cercare di entrare dalla finestra di uno dei tanti appartamenti anonimi, in cui un giovane uomo ha creato una piccola serra personale poiché il conforto dell’ossigeno che le piante producono, gli da un motivo per continuare a vivere in questa landa tossica.
Il nostro povero volatile è costretto dunque ad appollaiarsi su ciò che rimane di un arbusto secco, in cima ad una delle cave ubicate poco fuori la città. Il mormorio dell’acqua sembra un lontano ricordo, ormai. Il silenzio artico, in questo luogo, è rotto solo dal flusso del nastro trasportatore su cui scorrono enormi contenitori di minerali da cui vengono estratti ingenti percentuali di nichel, palladio e platino. Nella profondità della terra le scavatrici continuano incessanti le loro perforazioni e in lontanza il vento spinge il fumo solforoso delle ciminiere verso un altro teatro apocalittico, a sud del lago Pyasino.
In quest’area, il 29 maggio scorso, una cisterna appartenente alla centrale termoelettica NTEK (Norilsk-Taimyr Energy Company) è collassata a causa dello scioglimento del permafrost, riversando circa ventimila tonnellate di gasolio sui terreni circostanti e nelle acque del fiume Ambarnaya e nel suo affluente Daldykan, tingendoli di rosso, come una ferita aperta. Un altro colpo omicida dell’industria pesante è andato a segno.
Se il volo della ghiandaia ci permettesse di raggiungere il mare di Barents, nella speranza di ritrovare l’incanto del silenzio perduto, assisteremmo all’ultimo sconvolgimento climatico. Il ghiaccio si è ritirato di parecchi km verso il polo Nord, lasciando questo tratto di mare allo stato liquido per molti mesi all’anno. Queste sono le nuove condizioni che hanno permesso di creare un passaggio a Nord-Est che gli iceberg condividono con tante navi da carico, in cui migliaia di tonnellate di nichel possono ora essere trasportate agevolmente lungo questo nuovo corridoio artico, dal centro di Murmansk ed arrivare in Cina senza incontrare alcun tipo di barriera naturale.
E non è finita qui. Come ha ben descritto Tim Marshall nell’ultimo capitolo del suo libro Prisoners of Geography: “si pensa che vaste quantità sconosciute di gas naturale e petrolio possano trovarsi nella regione artica.” Parliamo di un possibile giacimento di enormi proporzioni, capace di riempire di combustibile e GNL (Gas naturale liquefatto) quasi 140 miliardi di barili, e che farà di quest’area il prossimo terreno di scontro in cui si misureranno tutte le grandi potenze dell’estremo boreale, specialmente Russia e Norvegia, le cui tensioni si sono già manifestate pochi anni fa per il controllo delle isole Svalbard.
Ma la ghiandaia siberiana non può conoscere e quindi comprendere le ragioni economiche che stanno spingendo l’essere umano a distruggere il pianeta. Alla luce di questo quadro ricco di tinte forti, l’unica cosa che può fare è ritornare tra le foreste del Putorana e constatare che questo grande baluardo della Natura è minacciato da una parte dalla tossicità del mondo industriale, e dall’altra dalla devastazione degli incendi.
Dal ramo di un larice, la ghiandaia osserva impotente ciò che sta succedendo.
E noi?