Ho conosciuto Jonathan Safran Foer prima come saggista e solo in seguito come scrittore di romanzi.
E, sarò sincera, come scrittore di saggi mi piace molto di più.
Il rispetto per l’ambiente e i diritti degli animali sono tematiche care a S.F. già dal 2009, anno di pubblicazione del suo “Se niente importa – Perchè mangiamo gli animali”: un’indagine su strada dove veste i panni di investigatore per denunciare nero su bianco le condizioni degli animali negli allevamenti intensivi.
Pensavamo che lo scrittore statunitense avesse appeso il cappello al chiodo, e invece no. D’altronde il lupo perde il pelo, ma non il vizio (e per fortuna in questo caso!).
È tornato infatti sugli scaffali delle librerie con un libro-manifesto pubblicato da Guanda lo scorso anno. Stiamo parlando di “Possiamo salvare il mondo prima di cena – Perchè il clima siamo noi”, il cui titolo originale in inglese suona un po’ diverso e cioè: “We Are the Weather: Saving the Planet Begins at Breakfast”.
Safran Foer rispolvera la sua scrittura a macchie di colore: tra descrizioni di racconti famigliari (anche piuttosto intimi) ed eventi storici, si fa strada la tesi dell’autore, che rimane taciuta per le prime 75 pagine.
Scopriamo così che la prima donna afroamericana che si rifiutò di cedere il posto ad un bianco in Alabama non si chiamava Rosa Parks, ma Claudette Colvin.
Che la nonna di Jonathan, dopo fame e guerre, quando andava a fare la spesa faceva sempre scorta dei prodotti in sconto, perchè non si sa mai.
Che il partigiano polacco Jan Karski, quando fuggì nel 1942 dall’Europa nazista e raccontò al giudice della Corte Suprema di Washington gli orrori dei campi di sterminio, questo non gli credette: “ammise [...] non solo la propria incapacità di credere alla verità, ma anche la propria consapevolezza di quella incapacità”. Esattamente come stiamo facendo noi nei confronti del cambiamento climatico: sappiamo che c’è, ma siamo incapaci di crederci, o forse, ancora peggio, non ce ne importa abbastanza, “non al punto di crederci”.
Tra le pieghe dei suoi voli pindarici comincia così a farsi strada la riflessione che S.F. vuol far nascere in tutti noi: non è un libro “politico” che impone il suo punto di vista, ma con il suo approccio divulgativo e propositivo vuol darci gli strumenti per farci prendere poi le nostre, personali, decisioni.
Ok, ammetto che ho copiato il buon Jonathan e anche io vi ho tenuto nascosta la sua tesi fino a qui, ma è arrivato il momento.
Il focus di questo libro è tutto alimentare. È un invito a consumare meno prodotti animali, in particolare a non mangiarli prima di cena (da qui il titolo). Parafrasando: mangiare vegetale 2 pasti su 3, tutti i giorni.
Quando si parla di alimentazione si tocca un terreno pieno di mine: mangiare non è soltanto nutrimento, ma è anche convivialità ed espressione di noi stessi. Cambiare il nostro modo di mangiare ci sembra quasi un sacrilegio. Se poi si comincia a parlare pure il veganese, si salvi chi può! Eppure la verità è che “non possiamo salvare il pianeta se non riduciamo in modo significativo il nostro consumo di prodotti di origine animale”.
Via quindi con la parte più scientifica del libro, organizzata molto schematicamente con tanti dati e fonti sistemati in bullet points comprensibili ai più. Copierò di nuovo S.F. e ne elencherò anche io qualcuno qui sotto:
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L’umanità sfrutta il 59% di tutta la terra coltivabile per nutrire il bestiame
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L’allevamento è responsabile del 91% della deforestazione amazzonica
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Il 70% degli antibiotici sono utilizzati per il bestiame
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L’allevamento è responsabile del 37% delle emissioni antropiche di metano e del 65% di protossido di azoto
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Non siamo messi meglio con la CO2, anche se qui il dato non è univoco: secondo la FAO il bestiame è responsabile del 14,5% di CO2, mentre per il Worldwatch Institute si sale a 51% (in Appendice verrà spiegato nel dettaglio quali e quanti fattori vengono presi o meno in considerazione per arrivare a questi dati)
La scelta di un’alimentazione prevalentemente vegetale non è l’unica cosa che ci aiuterebbe a contrastare il nostro impatto climatico. Le altre sono: limitare i viaggi in aereo, non usare la macchina, fare meno figli.
Davanti a tutti questi cambiamenti, semplici in realtà, ma per nulla facili, è normale che la nostra coscienza vada in crisi e si trovi a porsi domande senza risposta in un circolo a metà tra il virtuoso e il vizioso.
Ed ecco quindi che Safran Foer lascia da parte la sua penna da scrittore e ci si mostra in tutta la sua umanità: l’ultima parte del libro si chiama infatti “Disputa con l’anima” in cui l’autore espone a se stesso tutti i suoi dubbi, le sue debolezze, le sue paure di non farcela. È proprio questa la parte in cui noi lettori, magari un po’ spaventati da tutto quello che abbiamo appena letto, ci sentiamo accolti e compresi: “Forse per qualcuno è facile mangiare meno prodotti animali o diventare del tutto vegano, senza bisogno di affrontare un dibattito interiore. Devi solo accettare che la tua mente e il tuo cuore non sono fatti così. [...] Devi solo prendere atto che ritrovarti al punto di partenza non è una regressione.”
Tiriamo quindi un respiro di sollievo, accettandoci nella nostra imperfezione, ma con una presa di coscienza importante: “È senza dubbio vero che la decisione di un singolo di passare a un’alimentazione a base vegetale non cambierà il mondo, ma è altrettanto vero che la somma di milioni di decisioni analoghe lo cambierà”.
Inutile dirvi che dopo questo libro la mia alimentazione è diventata prevalentemente vegetale.